di Giuseppe Acocella
Quanto va accadendo in queste settimane va al di là della sola, pur gravissima, questione dell’affidabilità di una magistratura impegnata nella lotta di potere per il controllo dei ruoli direttivi dell’ordine giudiziario. Una simile lotta di potere – manifestatasi come competizione tra le correnti in cui è organizzata l’ANM per impadronirsi delle Procure e degli organi giudiziari attraverso le nomine, da sempre nota a dispetto degli “stupefatti” dell’ultima ora – mette in evidenza una distorsione evidente nell’equilibrio dei poteri, che coinvolge la radice stessa dello Stato di diritto, esponendo la vita della nazione alla crisi più letale per lo stesso principio di legalità. Infatti l’intreccio che rivela l’azione concordata dai protagonisti degli eventi di queste ore – uomini politici sotto inchiesta e magistrati contigui a chi esercita l’azione penale – svela che sotto il velo delle istituzioni democratiche un sottosuolo ben retribuito e ben omaggiato forma una élite interessata a mantenere il potere ad ogni costo, scavalcando il confronto democratico che deve incanalare e concretizzare l’esercizio della sovranità popolare, cosicché controllare (e indirizzare) il potere giudiziario significhi controllare (e dominare) l’intera vita della nazione non in virtù di un mandato democratico, ma in ragione della formazione di una consorteria impegnata nella gestione spregiudicata del potere a soli fini personali.
L’etica pubblica potrebbe uscirne irrimediabilmente compromessa, giacché la percezione e la fiducia nella legalità e nella certezza del diritto (non solo della legge) non possono essere pretese da un intero popolo se chi è responsabile dei pubblici uffici se ne fa beffa, specie in tempi nei quali una interpretazione populista della democrazia ne mette a rischio i fondamenti, mirando a formare una opinione in cui una élite demagogica e giacobina ritiene di assoggettare – in nome del popolo – le istituzioni ad un uso fazioso della produzione legislativa come della sua applicazione.
Ma chi – se non il populismo giudiziario che ha imperversato nell’ultimo quarto di secolo – ha preparato la strada a questa distorsione, ritenendo il giudizio morale e quello etico-politico insignificante, purché fosse lasciato libero campo al giustizialismo di piazza (a sostegno delle Procure, qualunque azzardo compissero o qualunque stravolgimento del principio di legalità favorissero) in nome della presunta superiorità del potere giudiziario rispetto a quello politico-istituzionale?
Gli effetti di questa perversa spirale sono oggi davanti a noi tutti, in una rovinosa discesa verso il dissolvimento dei legami sociali. Basterà l’appello alla Costituzione – invocato come ancora di salvezza – a garantirci da questa deriva?