di Giuseppe Acocella
La settimana appena trascorsa è stata dominata dal vile attentato di Manchester, dove bambini inconsapevoli e festanti sono stati massacrati dal gesto insano ma cosciente di un terrorista nato e cresciuto nella Gran Bretagna, Salman Abedi. Cresciuto ed anche educato, dunque, ai “valori occidentali” ereditati dalla cultura illuministica europea nutrita e fecondata dalla tradizione cristiana? Ebbene no: è noto che il modello di “integrazione” britannico ha sviluppato la singolare tesi che è bene che ciascungruppo riparato nel paese conservi la su “cultura” originaria, al punto che nel 1996 fu approvato l’ Arbitration Act proprio in nome del “rispetto dele culture”, il quale pretende che nell’ordinamento giuridico britannico si ” tolleri” che le parti impegnate in controversie( civilistiche, ma anche con risvolti penalistici) possano richiederne la risoluzione non secondo i principi del diritto vigente, ma secondo i principi della sharia, cioè il diritto islamico, estraneo alla comunità nazionale, ma riconosciuto e fatto valere nei tribunali britannici, con tanti sprezzanti saluti alla laicità dello Stato, cardine nella cultura cristiana – europea ma anche americana – della separazione tra temporale e spirituale. Un documento presentato nelle sedi istituzionali da un membro della Camera dei Lords, Caroline Cox, dal titolo Un mondo parallelo: affrontare il problema dei maltrattamenti di molte donne musulmane nella Gran Bretagna di oggi, è stato redatto dalla strenua sostenitrice dei diritti delle donne, Caroline Cox, membro della Camera dei Lord, e contiene la denuncia che le donne musulmane di tutta la Gran Bretagna vengono sistematicamente oppresse, maltrattate e discriminate proprio dai tribunali della sharia – la legge islamica – che trattano ostentatamente le donne come cittadine di seconda classe. Tali “tribunali” stanno aumentando a dismisura in Gran Bretagna. La crescente influenza della legge della sharia, in Gran Bretagna, dunque, sta minando il principio fondamentale secondo il quale dovrebbe esserci uguaglianza per tutti i cittadini ai sensi di un’unica legge delo Stato. Secondo il rapporto di Caroline Cox, invece, molti organismi musulmani utilizzano l’Arbitration Act a sostegno dell’affermazione secondo cui essi sono in grado di prendere decisioni giuridicamente vincolanti per i membri della comunità islamica. Questo è uil clima (legale) nel quale è stato educato Salman Abedi, anchwe a ritenere invalicabile la separazione tra la comunità britannica e quella musulmana. Questo è il clima nel quale la separazione può generare contrapposizione alimentata dalla strategia di conflitto dell’islamismo radicale. All’origine di ciò c’e’ dunque il problema dello ” slittamento di giurisdizione” , per cui i tribunali della sharia deliberano ( in Gran Bretagna) anche per i casi di diritto penale, come quelli che riguardano le violenze domestiche e le lesioni personali gravi. Il modello inglese prevede insomma che ogni comunità giunga – in nome di un imprecisato e pilatesco ” rispetto delle culture” – a custodire i propri principi consuetudinari ( anche quando contraddicano principi di civiltà come l’eguaglianza tra uomo e donna ). In Italia , invece, la Corte di Cassazione ha di recente affermato un grande principio di civiltà giuridica, e cioè che le usanze religiose costituiscono soltanto ” mera consuetudine” e quindi non possono abrogare norme penali di pubblica sicurezza ( art. 4 legge 110/ 1975; il caso era quello di un sikn che esibiva un pugnale alla cintola). Ha stabilito la Corte Suprema ( sentenza n. 24084, 15.05.2017) con un testo esemplare che ” In una società multietnica, la convivenza tra soggetti di etnia diversa richgiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’art. 2 Cost. che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. E’ quindi essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico che la disciplina”.
pubblicato sul quotidiano ” La città ” Domenica 28 maggio 2017