Etica e pubblica amministrazione: il delicato rapporto tra politica e burocrazie pubbliche. Note a margine per una riflessione.

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Il problema dell’etica nella gestione della cosa pubblica è, nel nostro Paese, socialmente rilevante: ormai da tempo le istituzioni internazionali mostrano un sistema pubblico ed imprenditoriale imbrigliato nelle maglie dell’illegalità e delle inefficienze. I costi economici della corruzione sono così ingenti da determinare una grave perdita di competitività del Paese e pericolose conseguenze sul bilancio dello Stato.

Ancor più grave appare, purtuttavia, il costo sociale di tale fenomeno: la corruzione è così dilagante da minare le fondamenta stesse del nostro sistema democratico. La disaffezione dei cittadini alle istituzioni e la lontananza dalla Stato possono portare – ancor più in un periodo di crisi e rimodulazione delle identità e appartenenze come l’attuale contingenza storica – a un grave scollamento del tessuto politico-sociale del Paese.

Si avverte pertanto l’urgenza di un’analisi conoscitiva delle criticità e degli elementi che contribuiscono a determinare tale manifestazione patologica delle attività delle pubbliche amministrazioni, per comprenderne le cause e tentare di porre rimedi.

L’etica pubblica riguarda il bene della collettività e del gruppo, il cosiddetto bene comune (è su tale elemento “oggettivo” che l’etica pubblica si differenzia dall’etica privata, per sua natura particolaristica e individualistica) ed è anzitutto interesse (ed anche responsabilità) dei cittadini – intesi come collettività.

Il familismo amorale ha da tempo spiegato come gli italiani siano più “parenti” che “cittadini” e in tale dimensione sociologica si può tentare di individuare l’origine di questo diffuso malcostume e rintracciare nella scarsa coscienza civica che ci connota l’origine degli atteggiamenti illeciti messi in atto contro lo Stato.

Si  accenna soltanto a questa evidenza, per osservare come la promozione di una condanna sociale della corruzione sia il primo strumento da mettere in campo nella lotta alla maladministration[1] ed arrivare a un cambiamento culturale generale in tema di rispetto delle Istituzioni.

Se sul fronte esterno alle istituzioni è pertanto necessario intervenire sull’educazione civica del demos, è indubbio che sul fronte interno il cambiamento culturale debba interessare in primo luogo il capitale professionale alle dipendenze delleamministrazioni.

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La questione della burocrazia è anzitutto e sopratutto questione di uomini”. Era il maggio del 1922 e – nel momento più acuto della crisi dello Stato liberale – Augusto Monti, dalle pagine del settimanale gobettiano “La Rivoluzione Liberale”, sentenziava che “a risolvere la questione della burocrazia si può concorrere anzitutto creando e rinfocolando tra gli impiegati la religione della cosa pubblica, cioè educando gli impiegati”. Le non recenti riflessioni di Monti mettono in luce come il secolare problema dell’amministrazione[2] sia da sempre stato ricondotto al problema degli impiegati. Tale lettura è naturalmente parziale – chi conosce la complessità organizzativa del “variegato” mondo delle pubbliche amministrazioni lo sa bene – e mostra soltanto uno degli elementi che contribuiscono a considerare la pubblica amministrazione “palla al piede” del Paese. Eppure, queste osservazioni così lontane nel tempo forniscono l’occasione per riflettere su un elemento centrale per il tema che qui interessa: l’etica pubblica in quanto “moralità delle istituzioni”[3] e religione della cosa pubblica, è lo spirito con cui le istituzioni vengono difese in un ordinamento democratico dai funzionari pubblici che in esse operano. In questo senso, l’etica pubblica assume un valore deontologico per le professionalità che all’interno del sistema pubblico svolgono la loro attività di civil servants, di servitori dello Stato.

Il tema dell’etica “dentro” le istituzioni fa riferimento sia ai pubblici amministratori – ovvero ai vertici politici delle istituzioni – che ai dipendenti pubblici, in quanto burocrati alle dipendenze delle amministrazioni (le tipiche strutture autoritative dello Stato) oppure delle imprese di pubblici servizi.

Fondamentale, per il nostro tema è il delicato rapporto tra queste due sfere, quella propriamente politica (portatrice di interessi di parte) e quella amministrativa (per sua natura imparziale e operante per il bene di tutti).

Il rapporto tra ceto politico e vertici burocratici è, infatti, centrale poiché incide segnatamente sui meccanismi decisionali pubblici e lede il diritto dei cittadini – sancito nella Costituzione – ad una amministrazione imparziale. Per molto tempo un circuito vizioso, dominato dallo scambio potere/sicurezza e celato dietro il “mito della separazione” ha favorito l’irresponsabilità tanto dell’uno quanto degli altri funzionari.

E’ fin troppo ovvio sottolineare come soltanto l’esistenza di un’élite amministrativa professionalmente e culturalmente attrezzata può garantire soddisfacenti livelli di autonomia dal ceto politico.

La rilevanza sociale attribuita a un corpo professionale dipende dalla capacità di incidere sui processi decisionali pubblici, dalla capacità di mediazione nei confronti della società (contribuendo, anche simbolicamente, alla tutela dell’interesse nazionale), ma anche dall’autonomia che tale corpo riesce a mantenere rispetto alle relazioni con il potere.

La produzione di studio sugli apparati amministrativi del Paese ha largamente ricostruito l’importante ruolo delle burocrazie pubbliche durante il primo periodo unitario[4] e di come, nel corso dei decenni successivi sia andato progressivamente aumentando lo scollamento tra burocrazia e società[5]. Apartire dal secondo dopoguerra, in particolare, le burocrazie pubbliche hanno abdicato in favore dei partiti politici che, in modo sempre più massiccio e totalizzante, hanno svolto un ruolo di mediazione tra Stato e società civile[6].

Tale subalternità ha generato un progressivo declino della tradizionale identificazione della burocrazia nello Stato e, sempre più, i funzionari pubblici hanno preferito identificarsi in una o nell’altra parte politica, secondo opportunità (maggiore apertura verso le richieste di stabilità, automatismi di carriera, miglioramenti economici), venendo meno alla missione propria delle istituzioni amministrative, quella del bene comune, non particolaristico.

La deresponsabilizzazione seguita a tale devianza ha avuto ricadute sull’immagine delle burocrazie pubbliche[7]: ne è conseguito un “grave deficit identitario”, crisi di identità intesa come identificazione e di identità nel suo essere «immagine». Il prestigio sociale delle burocrazie pubbliche, la percezione cioè che i cittadini hanno del pubblico impiego, è dominato ormai da tempo da avversione e impopolarità[8].

Un punto di svolta – almeno dal punto di vista programmatico – può essere rintracciato nei primi anni ’90: in seguito agli scandali di Tangentopoli prese avvio un processo di rinnovamento amministrativo – una “riforma permanente”[9]che è, ancora oggi, lontana dall’esserepienamente attuata – che può essere letto come il tentativo di mettere in relazione l’amministrazione alla Costituzione repubblicana. Di quel periodo è la presa di coscienza che solo un cambiamento culturale profondo può contribuire a migliorare l’attività delle amministrazioni pubbliche: l’obiettivo era quello di svincolare l’amministrazione da interessi di parte (per una piena affermazione degli articoli costituzionali 97 e 98), trasparente nell’esplicazione dei suoi compiti, responsabile di fronte ai cittadini della “restituzione di valore” che l’attività dell’amministrazione deve garantire in termini sociali.

L’affermazione del principio di separazione tra politica e amministrazione, introdotto dal D.Lgs. 29/1993, rispondeva alla necessità di ricostruire con chiarezza la titolarità delleresponsabilità dell’attività amministrativa: la distinzione tra compiti di direzione e attività di gestione, riconducendo i primi all’organo politico (insieme ai compiti di indirizzo, programmazione e verifica dei risultati sull’attività) e le seconde ai dirigenti, deve essere letta come strumento preliminare ad efficaci forme di controllo – non solo procedurale e amministrativo, ma anche, in senso più ampio, “democratico”, che attiene al diritto dei cittadiniad una amministrazione “efficiente, efficace ed economica”.

Il rispetto dei principi dell’etica pubblica non si manifesta infatti soltanto attraverso violazioni esplicite di norme di legge (e pertanto sancito penalmente) ma esso è anche un “atteggiamento” omissivo, una “cultura dell’inefficienza”: è su questo fronte che più evidenti si possono leggere le conseguenze che la mancanza di etica da parte dei pubblici funzionari[10] ha sul diritto ad una cittadinanza amministrativa. Anche gli strumenti da mettere in campo sono differenti, “mentre la corruzione penalmente rilevante si combatte principalmente con la repressione, cioè con l’irrogazione di sanzioni più o meno gravi, le forme di malcostume rilevanti per il diritto amministrativo si combattono con meccanismi organizzativi e procedurali, agendo sui controlli amministrativi e sulla trasparenza, puntando sulla deontologia e sulla formazione del personale”deontologia e sulla formazione del personale puntando sulla deontologia e sulla formazione del personale[11].

Occorre, come auspicato dal Presidente Mario Monti “una strategia di tipo “integrato”, essendo necessario elaborare ed attuare un’organica politica che miri al tempo stesso alla prevenzione ed alla repressione del fenomeno”[12]. In sintesi, una politica (intesa come policy) dell’etica pubblica[13]. La recente approvazione della legge 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” “se certo non può dirsi risolutiva per la lotta alla corruzione, rappresenta un passo in avanti rispetto alle inerzie e ai gravi ritardi del passato[14].

Si mettono in campo alcuni strumenti che incideranno positivamente sulle attività di repressione ed anche prevenzione del fenomeno corruttivo, quali, ad esempio, l’adozione, da parte di ciascuna amministrazione, dei piani di prevenzione oppure l’approvazione da parte di una Autorità nazionale anticorruzione di un piano nazionale anticorruzione.

La legge interviene anche in tema di diffusione della cultura della legalità dell’attività amministrativa, assegnando un ruolo importante alla formazione dei dipendenti pubblicie auspicando il rafforzamento del codice di comportamento dei dipendenti pubblici[15]. Su tale delicato punto, come è ovvio, il dettato normativo è soltanto il punto di partenza: occorrerà un impegno delle singole amministrazioni e le burocrazie pubbliche a raccogliere la sfida organizzativa e culturale che le attende.

L’etica pubblica, come è stato opportunamente osservato, “definisce il corretto agire deipubblici agenti al servizio della collettività, in tutta la sua pienezza, dal rispetto della legge sino alla soddisfazione ultima degli interessi protetti, delle giuste aspirazioni dei cittadini utenti, nel rispetto della loro dignità”[16] e non può ricondursi ad aspetti meramente procedurali.L’argomento rileva sotto due aspetti che contribuiscono a una piena affermazione del principio di democraticità delle istituzioni amministrative: il diritto dei cittadini alla qualità delle prestazioni erogate dalle pubbliche amministrazioni e il diritto – conseguente ma non meno importante – a ricevere una rendicontazione delle attività e delle spese sostenute.

Collocare l’etica pubblica al centro della mission dell’amministrazione è, quindi, di vitale importanza per promuovere il ruolo tutt’oggi fondamentale – riprendendo un’espressionedi Giorgio Berti -che le pubbliche amministrazioni hanno – o possono avere – nello sviluppo delle moderne democrazie.

Fornire risposte,  nel duplice significato di garantire qualità nell’erogazione dei servizi e dar conto (public accountability) della propria attività (scelte, azioni, spese) è un imperativo per le amministrazioni pubbliche. La formula che bene può sintetizzare tale esigenza è quella del governo misurabile, “che consenta (prima di tutto verso le assemblee elettive e l’opinione diffusa dei cittadini) la misurazione e valutazione dei risultati della gestione finanziaria pubblica e dell’attività delle pubbliche amministrazioni”.[17] L’etica pubblica rappresenta, in sostanza, la chiave di volta del buon governo[18].

 

Dott.ssa Ersilia Crobe



[1]Il termine è di S. Cassese, “Maladministration” e rimedi, in Foro italiano, 1992, V, 243

[2]La polemica contro le inefficienze dell’amministrazione è stata una costante della storia amministrativa del Paese. Tra le argomentazioni più frequentemente addotte, il collegamento tra l’impossibilità di raggiungere standard qualitativi elevati al problema degli impiegati. Tale pretesto ha caratterizzato anche l’approccio politico al tema delle riforme amministrative, dando sempre per scontata una inconciliabilità tra gli interessi delle burocrazie e quelli del Paese.

[3]Cfr. S. Maffettone, Etica pubblica. La moralità delle istituzioni nel terzo millennio, Il Saggiatore, 2001

[4]Cfr, almeno, R. Ruffilli, Istituzioni, società, stato, Bologna, Il Mulino, 1991. In particolare, il volume I approfondisce il ruolo delle istituzioni amministrative nella formazione dello Stato in Italia. L’opera postuma è stata curata da G. Nobili Schiera e M. S. Piretti; S. Sepe, Amministrazione e «nazionalizzazione». Il ruolo della burocrazia statale nella costruzione dello Stato unitario (1861-1900), in Dalla città alla nazione. Borghesie ottocentesche in Italia e in Germania, a cura di M. Meriggi e P. Schiera, Bologna, il Mulino, 1993

[5]Il tema è stato ampiamente trattato in S. Sepe, Amministrazione e storia. Problemi della evoluzione

degli apparati statali dall’Unità ai giorni nostri, Rimini, Maggioli,1995e ancora in S. Sepe, E. Crobe, Società e burocrazie in Italia. Per una storia sociale dell’amministrazione pubblica, Marsilio, 2008.

[6]S. Sepe, E. Crobe, op. cit. pagg. 105 e ss.

[7]Su ruolo e immagine dei funzionari dello Stato, cfr. S. Sepe, Identità e ‘senso dello Stato’ dei pubblici funzionari nella storia unitaria, in “Studi parlamentari e di politica costituzionale” n. 132/133, 2°/3° trimestre 2001

[8]Si rifletta, a titolo esemplificativo, su quale immagine la letteratura oppure il cinema hanno reso del mondo dei dipendenti pubblici. Attraverso l’utilizzo di alcuni caratteri dominanti si è resa un’immagine impietosa dei travet: “Un «tipo» umano grigio, senza desiderio di indipendenza, un piccolo automa che agisce e comanda in modo arbitrario, al riparo di qualche pezzo di carta, ossessionato dal rispetto formale delle procedure”. Così, a titolo esemplificativo, D. Bartoli, L’Italia burocratica, Milano, Garzanti, 1965

[9]Sul tema, G. Capano, Le politiche amministrative: dall’improbabile riforma alla riforma permanente?, in G. Di Palma, S. Fabbrini, G. Freddi, Condannata al successo, Bologna, Il Mulino, 2000

[10]S. Sepe, “Cultura ed etica dei dirigenti pubblici in Italia: il ruolo della formazione”, in Rivista della Corte dei Conti, n. 5, 1992, pag. 217-224

[11]G.B. Mattarella, Recenti tendenze legislative in materia di prevenzione della  corruzione, disponibile al link http://www.masterprocurement.it/ckfinder/userfiles/files/Mattarella.pdf

[12]Presentazione a “La corruzione in Italia, per una politica di prevenzione. Analisi del fenomeno, profili internazionali e proposte di riforma, Rapporto della Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione”, disponibile al link http://www.funzionepubblica.gov.it/media/1052330/rapporto_corruzione_29_gen.pdf

[13] V. Cerulli Irelli, Etica pubblica e disciplina delle funzioni amministrative, in F. Merloni e L. Vandelli (a cura di), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Passigli, 2010.

[14] Il giudizio è di R. Garofali, Il contrasto alla corruzione. La l. 6 novembre 2012, n. 190, il decreto trasparenza e le politiche necessarie, in www.astrid-online.it

[15] Il 4 giugno 2013 è stato pubblicato, in Gazzetta Ufficiale n. 129, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 16 aprile 2013, avente ad oggetto il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (come sostituito dall’articolo 1, comma 44, della legge 6 novembre 2012, n. 190)

[16]V. Cerulli Irelli, op. cit.

[17]M. Carabba, Esperienze e metodologie di valutazione: problemi e prospettive. Relazione introduttiva alla VII Conferenza nazionale. Rete istituzionale per la misurazione dell’attività pubblica,

[18]Rafforzare l’etica nella pubblica amministrazione. Le misure dei paesi dell’Ocse, Nota di sintesi dell’OCSE sulla gestione pubblica, n. 7, settembre 2000

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