Il caso Ilva e l’applicazione della L. 231/2012:
“quando la pratica della legalità rompe la grammatica dell’interpretazione dogmatica”
di Diego Forestieri
Come teorizzato da Beck (2000), all’aumentare delle applicazioni sociali della razionalità rivolta allo scopo cresce anche l’incalcolabilità delle conseguenze impreviste ma – a ben vedere – si può arginare e controllare ciò che è calcolabile e dunque limitare il rischio e accrescere la sicurezza in ogni attività sociale.
E se in passato, le due prospettive “ingegneristica” ed “economicista” nella sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro hanno avuto in comune la visione della razionalità individuale, oggi, è sul processo di decisionale e organizzativo e dunque sulla prevenzione del rischio che si basa una buona strategia socio-relazionale d’intervento.
Gli studi sul rischio hanno avuto, a ragion d’essere, sin dall’inizio una connotazione marcatamente operativa, mirando a sviluppare una maggiore efficienza nell’ambito della gestione delle situazioni di rischio. Oltre a valutazioni e stime tecniche sempre più accurate dei livelli di rischio, si è poi riconosciuta l’importanza del coinvolgimento di esperti di provenienza non strettamente medico/ingegneristica nelle decisioni relative a potenziali situazioni di rischio. In questo senso si vuole sottolineare l’importanza e l’utilità di una partecipazione collettiva alla gestione e alla governance del rischio.
L’ Ilva di Taranto costituisce uno dei casi in cui in forza della legge e di principi superiori (contenuti nella Costituzione), le esigenze sociali si impongono con forza alla applicazione letteraria e alla forma giuridica, realizzando per i sociologi del diritto un sicuro e fecondo tennero di studi in cui tutti gli elementi della società (partiti, sindacati, comunità dei cittadini, istituzioni, economia) si intrecciano in maniera unica e straordinaria.
Nello specifico, nell’atmosfera di “legalità sospesa” che avvolge lo stabilimento Ilva di Taranto e nell’esplicitarsi di decisioni giudiziarie formalmente corrette ma lontane sia dalla realtà produttiva che dalla vita pratica dei lavoratori facenti parte lo stabilimento, si rappresentava un’apparente dicotomia tra la necessità di assicurare la continuità della produzione e, contemporaneamente, l’esigenza di avviare le modifiche per adeguare il ciclo produttivo alle prescrizioni dell’Aia[1], ha finito per prevalere, anche grazie alle parti sociali, il buon senso che trova una decisione esplicita nella nomina da parte del Governo, che si assume così ogni responsabilità di amministrazione dello stabilimento e di condurlo verso il pieno rispetto delle regole e la valorizzazione della produzione.
Una decisione che non mette in discussione lo Stato di diritto ma costituisce un valido esempio, sia da un punto di vista di consenso che di giustizia, poiché una sentenza ispirata al diritto vigente viene “rivista” e “corretta”, nel momento in cui in una democrazia pluralista si avverte, forte e sentita da tutte le parti sociali e istituzionali coinvolte, la necessità di una revisione (della pure corretta ma dogmatica applicazione delle norme) in nome di una pratica sociale di un più alto valore etico: la tutela del lavoro e dei lavoratori.
In realtà, nella reciproca indipendenza e separazione di poteri, (esecutivo, legislativo e giudiziario) la nomina di un Commissario per i prossimi 36 mesi, non ha messo in discussione alcun principio sovrano del nostro ordinamento ma al contrario sono stati applicati gli artt. 41, 42 e 43 della Costituzione, oltre a trovare così piena applicazione la Legge 231 del 24 dicembre 2012 recante disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale. Secondo la L. 231/2012, che converte il decreto-legge 207-2012 – il cosiddetto Salva-Taranto – per gli stabilimenti riconosciuti di interesse strategico nazionale, il Ministero dell’Ambiente può difatti autorizzare, in sede di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale, la prosecuzione dell’attività produttiva fino a 36 mesi, anche nel caso in cui l’autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell’impresa. Nel caso specifico dell’Ilva di Taranto, la legge riconosce così l’impianto siderurgico come stabilimento di interesse strategico nazionale e lo autorizza a proseguire l’attività produttiva.
Sul piano pratico, con questa soluzione nei prossimi 36 mesi si salvano le migliaia di posti di lavoro e al contempo si impedisce che il comparto siderurgico italiano subisca un blocco. Un decisione logica e acuta che si trova a fronteggiare peraltro un periodo piuttosto infelice dell’Economia nel nostro paese, con un tasso di disoccupazione in Italia che, secondo i dai ISTAT, ad aprile 2013 sale al 12,0%. Con la completa applicazione della 231/2012 si è scongiurato un disastro occupazionale; in una situazione poi che, secondo gli “Scenari di sviluppo delle economie locali italiane” realizzati da Unioncamere e Prometeia, è destinata tendenzialmente a peggiorare, secondo questi dati il 2013 sarà un anno terribile per l’occupazione e in particolare per il Mezzogiorno, dove il tasso di disoccupazione dovrebbe attestarsi al 17,9%, ossia 6,5 punti percentuali in più rispetto alla media nazionale, attesa all’11,4%.[2]
Nel caso dell’Ilva di Taranto, un’eventuale chiusura difatti “avrebbe un impatto economico negativo per 8 miliardi di euro annui” e per quanto riguarda i posti di lavoro sarebbero a rischio una cifra notevole e spaventosa: 12.859, senza contare che l’indotto a Taranto oggi conta circa 3000 lavoratori. Insomma, nel caso dell’Ilva di Taranto: “La strada del risanamento dell’azienda, della sua continuità produttiva, del rispetto delle prescrizioni dell’Aia – dichiara Luigi Sbarra segretario confederale della Cisl – è l’unica in grado di assicurare la ripresa, di scongiurare un gravissimo problema sociale e di tenere insieme le ragioni dei cittadini e dei lavoratori […]”.[3]
A queste condizioni appare opportuna la strada intrapresa dal Governo e dalle parti sociali nella completa attuazione della Legge e nella riaffermazione della legalità che ha sempre l’obiettivo di regolare e valorizzare la vita umana e il lavoro!
[1]L’autorizzazione integrata ambientale (AIA) è l’autorizzazione di cui necessitano alcune tipologie di attività produttive per uniformarsi alle Direttive in merito della Comunità europea. Informazioni relative all’impianto di Taranto si possono reperire al seguente indirizzo http://aia.minambiente.it/DettaglioImpiantoPub.aspx?id=90.
[2]In Italia è la Calabria con più disoccupati, con un tasso sopra il 20% atteso per l’anno appena cominciato: in particolare al 20,6%, seguita da Sicilia (19,6%) e Campania (19,3%), Sardegna, con il 17%. E poi Puglia (16,1%) e Basilicata (15,6%). Questi dati da soli dovrebbero far riflettere su quanto sia necessario conservare e tutelare quanto più possibile realtà produttive in Italia e in particolare nel Mezzogiorno.
[3]Ilva di Taranto. Dal Governo soluzione entro il 5 giugno, Conquiste del lavoro http://www.conquistedellavoro.it Archivio notizie.