Sin dalla sua costituzione, nel 2013, l’Osservatorio sulla legalità chiarì che la sua attività non sarebbe stata rivolta alla organizzazione di convegni, cortei, campagne di propaganda, interventi educativi destinati agli istituti scolastici, formazione di comitati più o meno attivi – in una parola non si sarebbe dedicato alla esibizione (più o meno in buona fede) della (propria) legalità, troppo spesso ridotta alle sole proclamazioni antimafia e anticamorra – ma avrebbe invece costituito un luogo di pensiero e di ricerca su un tema centrale della convivenza democratica, quale quello rappresentato dai fondamenti dell’etica pubblica radicata nella consapevolezza dell’osservanza della legge, nei nostri giorni minacciata dalla manipolazione sia del momento della produzione delle leggi che di quello dell’applicazione, in una sola parola dall’ambiguità che incombe sul principio di legalità, architrave dei sistemi democratici nati sulle basi dello Stato di diritto antidispotico ed antitotalitario.
Eventi degli ultimi tempi hanno confermato questa scelta di cautela e del rifiuto di affidarsi – per tutelare la vera legalità -a mere dichiarazioni di voler lottare contro la criminalità con manifestazioni e convegni, ma piuttosto di fondare questo impegno nell’approfondimento culturale che l’Osservatorio ha scelto come suo campo di lavoro (e senza trascurare per questo la diffusione delle acquisizioni scientifiche o il coinvolgimento ed il sostegno delle iniziative culturali di comunità locali, giovani o istituzioni scolastiche autonomamente impegnati in questa direzione). Dopo il caso palermitano del Presidente della Camera di Commercio, gran promotore e frequentatore di iniziative antimafia per coprire la propria attività illegale (e don Luigi Ciotti di Libera ha dichiarato che <<avremo belle soprese che ci fanno soffrire perché riguardano personaggi che hanno sempre riempito la bocca di legalità e di antimafia>>), appare evidente che tanti manigoldi hanno strumentalizzato l’appello alla legalità per rendersi insospettabili e coprire le proprie colpe, ponendosi addirittura nei confronti di possibili investigatori ed accusatori in una posizione di indebito vantaggio. L’affare della legalità puramente esibita era stato già denunciato da Leonardo Sciascia, lucidamente scagliatosi contro i “professionisti dell’antimafia”, o da Nando Della Chiesa, che ha parlato di <<circo dell’antimafia>>. Esistono oltre duemila onlus che organizzano manifestazioni e convegni cercando contributi e adesioni (spesso interessate e ben liete di cogliere l’occasione offerta),e non tutte sono disinteressate e sincere.
Come ha dichiarato Raffaele Cantone, è necessario <<non confondere singole storie con una battaglia meritevole>>, e dunque occorre distinguere esperienze nobili, e meritorie per sacrificio e sincero impegno, da altre che si contentano di produrre iniziative narcisiste (e talvolta inquinate), come nel caso delle inchieste riguardanti associazioni che pure avevano riscosso fiducia e plauso, come il “Movimento delle donne di San Luca” o “Ammazzateci tutti”, caduti nella trappola delle spese facili o dei favori mafiosi, o nei successi televisivi di indagini divenute fiction e trasformatesi, da denunce che erano, in mitologia ammirata per l’illegalità e dunque diseducativa, o addirittura nell’organizzazione (a fini di lucro motivato come autofinanziamento della nobile lotta) del turismo dell’antimafia e della legalità. Questo può accadere, come viene ricordato da chi è sul fronte della lotta, per carenza appunto di cultura della legalità.
Per queste ragioni, dunque, l’Osservatorio resta luogo di studio e di approfondimento scientifico e culturale, affinché la cultura della legalità si consolidi e si diffonda, divenendo base sicura di una vera militanza civile e democratica.
Pino Acocella